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Un soprano abitato da un grido interiore

13 Ottobre 2021

Intervista a Clarissa Costanzo

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Clarissa Costanzo è una giovane soprano nata a Capua nel 1991; ha studiato presso il Conservatorio “San Pietro a Majella” di Napoli, dove si è diplomata nel 2014 in Canto con il massimo dei voti e menzione d’onore.

Allieva dell’Accademia di perfezionamento per cantanti lirici del Teatro alla Scala dal 2019, a novembre riceverà il diploma nell’ambito del concerto istituzionale.

 

Com'è nata la tua passione per il canto lirico?

Ho iniziato a studiare canto all'età di 19 anni e ho capito la mia predisposizione per il canto lirico solo due mesi prima del mio ingresso presso il Conservatorio di Napoli, dove poi mi sono diplomata in Canto.

All’inizio il canto per me significava imitare le grandi voci pop degli anni ’90 come Whitney Houston, Mariah Carey, Celine Dion, molto in voga in quel periodo, ma, un giorno, la mia insegnante di canto mi disse di avere una buona attitudine per un altro stile e mi consigliò di tentare la strada del canto lirico.

 

Il canto lirico: un grido interiore.

Come diceva Sylvia Plath “Sono abitata da un grido”.

Ad oggi posso dire che la musica e il canto sono stati per me un'esigenza oltre che una passione. Sono stata un'adolescente molto insicura e nel periodo della separazione tra i miei genitori ho sofferto molto l'impossibilita di poter comunicare ed esprimermi come volevo e come sentivo. Per questo dico che la musica è diventata per me il principale strumento di comunicazione verso l'esterno. Attraverso la mia voce riesco ad entrare in contatto sia con me stessa sia con le persone che mi ascoltano. È stata una forma di terapia personale per non risultare anonima.

  

Quali sono i modelli ai quali ti ispiri?

Sarò scontata, ma Maria Callas per me è sempre stata l'artista alla quale mi sono sempre ispirata. Inoltre, mi è capitato spesso di innamorarmi di voci che ascoltavo per la prima volta in teatro: per esempio, una volta, mi trovavo a San Francisco e ascoltai Lianna Haroutounian, soprano armeno, esibirsi nell’interpretazione di un “classico” come Un bel dì, vedremo e me ne innamorai totalmente. Mi ha scosso.

Mi sono sempre ispirata a tutti quegli artisti che mi trasmettono forti emozioni. La musica lirica non è un’arte che raggiunge la sua massima espressione solo nella capacità di mostrare le proprie doti vocali, i virtuosismi, ma soprattutto nell’abilità nel suscitare emozioni, sensazioni e a volte anche turbamenti in coloro che ascoltano.

 

Chi ha influito maggiormente sul tuo percorso artistico? 

Vorrei menzionare Davide Rondoni. Poeta di profonda e altissima sensibilità del nostro tempo, un incontro che ha modificato la rotta. Conoscerlo ha contribuito a una ulteriore limatura del mio potenziale, artisticamente e umanamente parlando.

 

Quali sono stati i tuoi primi ruoli?

Ho avuto la fortuna di lavorare molto una volta diplomata al Conservatorio, grazie all’aiuto di un agente che mi ha visto esibirmi durante un concerto e mi ha proposto una collaborazione.

Nel 2013 ho interpretato il ruolo di Madame Lidoine ne I Dialoghi delle Carmelitane di Poulenc, presso il Conservatorio San Pietro a Majella, con la regia di Serenella Isidori in collaborazione con il Teatro San Carlo di Napoli.

Nel 2014 ho collaborato con As.Li.co per OperaDomani: Aida: amore è coraggio, che mi ha permesso di debuttare nel ruolo in numerosi teatri quali il Teatro Sociale di Como, il Teatro Ponchielli di Cremona, il Teatro degli Arcimboldi di Milano, iI Teatro Verdi di Pordenone, il Teatro Comunale di Bolzano.

Fra il 2015 e il 2016 sono stata interprete di Suzel in un allestimento de L’Amico Fritz di Mascagni affidato alla regia di Leo Nucci e alla direzione di Donato Renzetti presso il Teatro Municipale di Piacenza, il Teatro Alighieri di Ravenna e il Teatro Comunale “Luciano Pavarotti” di Modena.

 

Un incontro importante: Leo Nucci

Devo dire che è stata un’esperienza indimenticabile. Per quel ruolo ho studiato moltissimo, non solo per l’interpretazione vocale, ma anche per quella scenica, lavorando molto sulla gestualità. All’epoca ero giovanissima, e onestamente improvvisavo sempre un po’ sul palcoscenico, ero molto acerba soprattutto nell’approccio col pubblico. Un giorno, mentre mi esibivo, iniziai a sentire in sala acclamare il mio nome “Brava, Clarissa!”. Stavano imparando a conoscermi e capii che ero arrivata al loro cuore. 

 

Come sei arrivata all’Accademia Teatro alla Scala?

Stavo già lavorando da qualche anno, ma decisi comunque di intraprendere questo percorso di specializzazione perché, come detto, ho sempre cercato di perfezionarmi e di raggiungere il massimo della preparazione. Così decisi di partecipare alle selezioni per il biennio dell'Accademia.

Portai alcuni brani già affrontati in passato, arie tratte da Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi e Mosè in Egitto di Gioachino Rossini. Ero molto agitata ed emozionata, soprattutto quando arrivai sul palco del Teatro alla Scala nella fase finale. Era la prima volta che salivo su quel prestigioso palcoscenico. Vedevo altri colleghi piangere e farsi prendere dal panico e dall’ansia… ho cercato di mantenere il più possibile la concentrazione e la calma, non volevo rovinare questa grande occasione.

L’Accademia mi ha permesso di incontrare maestri di altissimo livello e di aver accesso a una formazione intensiva, attraverso l’alternarsi di lezioni in aula, individuali e di gruppo, e diverse masterclass di perfezionamento, tutti momenti di grande crescita.

Ricordo con piacere la masterclass tenuta da Marcelo Álvarez finalizzata alla preparazione di un concerto al Ridotto dei Palchi “Toscanini” del Teatro alla Scala.  Mi ha permesso di approfondire al meglio la padronanza del fiato, del suono, dell’ascolto del mio corpo per produrre il miglior suono possibile. Purtroppo, ha rappresentato anche un momento molto triste, perché è stato l’ultimo spettacolo aperto al pubblico prima della chiusura definitiva per il protrarsi dell’emergenza COVID-19.

 

Ti abbiamo ascoltata in “Se come voi piccina” da Le Villi di Giacomo Puccini, in occasione del concerto “Regine, Sante e Femmes Fatales”  trasmesso in streaming dal Ridotto dei Palchi del Teatro alla Scala. Ce ne parli?

L’avevo già cantata in altre occasioni. Quest’aria ha una melodia molto evocativa, come quasi tutti i motivi musicali di Puccini. Quando ho iniziato a studiarla per portarla al concerto, mi sono ritrovata a canticchiarla anche prima di andare a dormire. È un motivo molto piacevole. Purtroppo, il concerto è stato registrato e trasmesso in streaming senza pubblico presente in sala, a causa del protrarsi delle norme anti COVID-19. È stato molto strano, anche perché l’ultima volta che mi esibii dal Ridotto dei Palchi del Teatro alla Scala era nel febbraio 2020 e c’era stata una grandissima affluenza di pubblico presente. Cantare un’aria così intima che evoca l’immagine di una ragazza con i fiori in mano che dedica le sue più belle parole d’amore al suo amato, avrebbe sicuramente funzionato meglio con calore delle persone.

 

 

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