Placeholder content for this accordion, which is intended to demonstrate the .accordion-flush class. This is the third item's accordion body. Nothing more exciting happening here in terms of content, but just filling up the space to make it look, at least at first glance, a bit more representative of how this would look in a real-world application.
News ed eventi

L'inarrestabile voglia di sapere di Marco Ayala

13 Settembre 2022

17e4d28b1db87fadc8fbd8b8e044db20_37406_ayala_header_image.jpg

 “Sono stato il primo messicano nella storia del Corso di foto e forse il quinto in quella del Master!”

Esordisce così Marco Antonio Ayala, 3 volte ex allievo dell’Accademia Teatro alla Scala.

Marco, infatti, ha frequentato nel 2019 il Workshop di fotografia, in seguito al quale è stato ammesso direttamente al Corso di foto, video e new media senza doverne sostenere le selezioni.

Quindi, l’anno successivo, ha frequentato il Master in Performing Arts Management.

 

Oggi, questo giovane ventottenne giunto da oltre oceano è Responsabile sviluppo internazionale e nuovi progetti al Teatro Real di Madrid.

 

“La mia storia inizia come molte altre di quelle che si sentono nei corridoi dell’Accademia: ho intrapreso lo studio della musica da bambino, pianoforte prima e poi violoncello, strumento in cui mi sono diplomato – ma adesso non suono più.

Ho preso anche un diploma in danza contemporanea.

Nel 2014, mentre ero a metà del mio percorso universitario e, parallelamente, seguivo già i canali social per l’Orchestra di Jalisco, un professore mi ha fatto capire che ero davvero portato per questa attività e che poteva forse diventare la mia professione”.

 

Che taglio davi alle tue storie?

Raccontavo le cose dal mio punto di vista, quindi quello di un musicista curioso; se dovevo raccontare di un concerto, mi informavo sul programma, leggevo qualsiasi cosa sull’autore e poi proponevo al pubblico tutte queste conoscenze così come io le avevo scoperte. Aver studiato musica faceva la differenza, perché dava quel tocco in più che si riconosce, poi, nella scrittura.

Instagram era nato da pochi anni, la figura del social media manager per le realtà culturali non esisteva ancora: mi è sembrata quindi una bella sfida, questa opportunità lavorativa, e l’ho colta al volo. Mi occorrevano dei soldi per poter seguire un tirocinio in Russia e accettai questo incarico a Jalisco, che inizialmente doveva essere di un solo mese.

 

E poi…?

Alla fine, l’esperienza è durata ben sei anni! Mi piaceva molto relazionarmi con il pubblico e sono cresciuto molto durante questo periodo. L’Orchestra spaziava dall'opera al balletto fino alla musica sinfonica e organizzava anche dei programmi educativi per bambini, così nel tempo mi sono occupato anche delle guide all'ascolto e delle masterclass per i bambini tenute dai professori d’orchestra.

Nel 2018, poi, sono stato chiamato come coordinatore social media al Centro nazionale delle arti di Città del Messico, una realtà enorme che racchiude tutte le scuole nazionali d’arte, danza, musica e teatro. Lavoravo molto, a stretto contatto con gli uffici stampa e marketing. Una bella esperienza durata sette mesi.

 

E poi Milano. Com'è arrivata la decisione di un trasferimento così importante?

Non l’ho deciso al volo, ma già nel 2015 - a un festival in Messico - un ex allievo dell’Orchestra dell’Accademia (Roberto Carlito) mi ha parlato della scuola scaligera. Ho iniziato a spulciare online l’offerta formativa e ho visto il master, che concretizzava l’idea di corso della mia vita. Siccome ero ancora in corso di studi in università, mi sono dato il tempo di terminare la laurea e vedere come si evolvevano le cose; la vita mi ha portato a specializzarmi in fotografia e quindi ho optato prima per il corso relativo, anziché frequentare subito il master. Anzi, mi sono iscritto al workshop propedeutico, per la precisione, quando ancora non parlavo una parola di italiano.

 

Col senno di poi, reputi che ti sia stato utile?

Sì, si è rivelata una scelta azzeccata perché non conoscevo nulla della realtà dell’Accademia. Da “fuori” non si capisce quanto faccia e quali possibilità offra e soprattutto non si comprende la differenza fra Accademia e Teatro.

Attraverso il workshop ho scoperto questo mondo e la vicinanza dei tutor e dei professori agli allievi, una relazione uno a uno in continuo dialogo che rende la formazione davvero prolifica. È molto diverso dall'università: in Accademia vieni guidato passo dopo passo da professionisti che davvero si preoccupano della tua formazione.

 

Hai raccontato che non parlavi ancora l’italiano, al tuo arrivo; è stato di grande ostacolo?

Pensa che mi sono iscritto all'Istituto Italiano di Cultura e vi andavo proprio tutti i giorni, alle sette del mattino, ma non parlavo e temevo di essere in difficoltà. Ma in verità, è bastato mostrare il mio portfolio per strappare il voto più alto. E lo ammetto, ero davvero un secchione.

Però, il livello dei candidati del Master era talmente alto che durante quella selezione non mi sono sentito così sicuro.

 

Hai scelto il Master nel bel mezzo di una pandemia mondiale…

Già, mentre tutte le istituzioni culturali erano in crisi; per un attimo mi sono chiesto se valesse la pena tentare questo percorso, ma più ci pensavo più sentivo che era davvero il momento giusto.

E poi a me piace imparare: voglio stare sempre dove ci sono possibilità di formazione.

Certo, ammetto che aver vinto una borsa di studio – una di quelle messe a disposizione dalla Fondazione Spina –è stato determinante. Senza questo importante contributo non sarei mai riuscito a frequentare il Master.

Il talento e la determinazione contano sempre, ma le opportunità e il networking sono ugualmente importanti.

 

Qual era il tuo obiettivo, quando hai scelto il Master?

Volevo raggiungere quel livello di professionalità che sapevo di non possedere, nonostante l’esperienza maturata nei sei anni a Jalisco. Mi sembrava che questo percorso rappresentasse un ultimo gradino, ma ho capito poi che questa scala non finisce mai: c’è sempre qualcosa da imparare e c’è sempre un modo per far meglio.

Questo master non è un punto di arrivo, ma uno snodo da cui partono milioni di opportunità di approfondimento. Già solo il Teatro alla Scala o il mondo dei festival – due realtà produttive indagate nel corso del programma didattico – sono due realtà immense e diverse.

Il Master in Performing Arts Management è bello per questo motivo: non è focalizzato solo su un ruolo o solo su un genere, ma è un posto dove scopri cosa puoi fare.

Prima del corso, per fare un esempio su me stesso, non esisteva Marco Ayala il fundraiser; dopo il Master, sì…

E un’altra cosa bella è che non c’è bisogno di avere alle spalle studi o esperienze nel settore culturale, per frequentare questo programma con successo. Avvocati, filosofi o architetti possono ugualmente essere risorse preziose e porre i propri studi a servizio dell’arte.

Tutto quello che si è fatto prima nella vita contribuisce a rendere questo percorso un’esperienza unica.

Attraverso il Master, puoi anche stravolgere la tua direzione.

Guardate me, per esempio: sapevo di social e di fotografia e quindi sembrava naturale che, come stage, scegliessi la Scala e l’ambito della comunicazione. E io mi sono detto di non volerlo fare proprio perché lo sapevo fare; ho deciso, invece, di fare dell'esame in cui avevo preso il voto più basso, fundraising, un nuovo trampolino di lancio e ho iniziato ad approfondire la materia, studiando e aggiornandomi costantemente. Quando mi hanno detto che al Teatro Real c’era un posto da stagista con Marisa Vasquez-Shelly, una fundraiser davvero estremamente valida, mi sono proposto.

 

Sei stato coraggioso e sei stato premiato…

A essere sinceri mi ha raccontato in seguito di aver pensato, inizialmente, che non c’entrassi proprio nulla con la sua attività; per fortuna la direttrice del Master, Monica Errico, ha creduto fortemente in me e alla fine, dopo qualche ulteriore valutazione, sono stato accettato.

Come stagista di fundraising al Teatro Real ho dovuto imparare tantissimo, è stato un periodo di formazione continua anche in cose che a molti possono sembrare banali o a cui non si pensa, come per esempio il protocollo per rivolgersi alla Casa Reale o al direttore dell’azienda più importante di un Paese. Non sono questioni affatto accessorie, alla fine, se si pensa che il fundraising è basato sulle relazioni.

 

Adesso di che cosa ti occupi?

Oggi sono Responsabile sviluppo internazionale e nuovi progetti, un settore in cui vi sono davvero tante possibilità. Il mio lavoro consiste nel cercare nuove opportunità nei diversi paesi del mondo e in particolare nei mercati emergenti per realizzare tutto le idee del Sovrintendente.

 

Come si svolge una tua giornata tipo?

Non esiste una giornata tipo: ogni giorno vivo una nuova avventura. Il Sovrintendente in carica è un rivoluzionario che vuole fare tutto, il possibile e l’impossibile, un vulcano di idee e il nostro compito è proprio indagare le possibilità di concretizzazione – una sfida intrigante.

 

Ma senti di essere “arrivato” o ti manca ancora qualcosa?

Per natura credo che non mi sentirò mai arrivato, non vorrei fermarmi mai. Mi piace proprio accumulare esperienze diverse, evolvermi sempre e conoscere tutti i punti di vista; mi piacerebbe certamente lavorare in Germania, in Francia e in Inghilterra, per esempio, e vedere come cambia la gestione di un teatro in diversi Paesi d’Europa.

Voglio provare tutto e poi forse vorrò rientrare in Messico, chi lo sa.

 

Contano di più i fondi pubblici o il fundraising, nel settore culturale?

Sono ugualmente importanti e forse, a pensarci bene, giocano un po’ allo scambio di ruoli. I fondi pubblici, infatti, sono comunque gestiti da poche persone che però non intessono una vera relazione con l’istituzione finanziata. Quando si tratta di fondi privati, invece, l’azienda che sponsorizza diventa una collettività che davvero in qualche misura partecipa alla vita dell’ente sostenuto. Si crea una relazione di confidenza e di fiducia che non ha uguali nell'ambito del finanziamento pubblico.

 

Rispetto a quanto hai potuto osservare e studiare in questi anni, pensi che il panorama culturale italiano sia abbastanza sensibile al fundraising o che abbia ancora molto da imparare?

In Spagna, i proventi della biglietteria, dei fondi pubblici e dei fondi privati rappresentano ciascuno il 30% delle entrate. Durante la pandemia, quando ovviamente gli introiti dei biglietti sono venuti meno, avevamo comunque il 60% dei finanziamenti.

Il Teatro alla Scala ottiene fondi privati per il 20% dei suoi introiti, ed è il teatro italiano che ne ha decisamente di più, mentre la media nazionale si attesta attorno al 9%.

Di contro, in Italia esiste il Fondo Unico per lo Spettacolo, un modello che non esiste negli altri Paesi.

Per completare il quadro, poi, va detto che ci sono svariate realtà culturali, nel mondo, che non percepiscono né fondi pubblici né fondi privati.

Quindi diciamo che alla fine l’Italia, per come la vedo io, è al momento a metà strada con un buon margine di miglioramento.

Bisogna tenere a mente che il fondo privato può essere davvero anche una cifra piccola, che moltiplicata per la collettività diventa un sostegno importante che permette di realizzare cose molto belle. Al Teatro Real, per esempio, apriamo il programma “Amici del Teatro” anche ai minorenni, che possono affiliarsi solamente con 20 euro e usufruire di contenuti pensati apposta per loro. Se sono maggiorenni, poi, possono anche detrarre questa donazione.

 

 

Potrebbe interessarti anche

03 Febbraio 2025 / Alumni - Hall of Fame

Hall of Fame: Teresa Sacchetti

Nuovo appuntamento della rubrica dedicata ai nostri ex allievi!

un ritratto in scena della giapponese aya wakizono
05 Maggio 2021 / Alumni - Hall of Fame

Aya Wakizono, dall'Oriente alla conquista del mondo

La storia del soprano giapponese

header-wacker
13 Ottobre 2023 / Alumni - Hall of Fame

Uno alla volta, per carità: Nicole Wacker

Soprano svizzero, allieva biennio canto